Branded content marketing: significato e tipologie
Non è pubblicità, è branded content!
Ormai a portata di tutti, il branded content marketing sta diventando prassi per tutte le aziende. Produrre contenuti funziona e pone il marchio in una posizione diversa rispetto alla pubblicità tradizionale.
In questo articolo, redatto in collaborazione con Sergio Pinto di Geofelix web agency Milano, spieghiamo cosa è il branded content, vediamo diversi modi per fare branded content marketing e alcuni esempi.
Definizione di ‘branded content’
Se vogliamo darne una definizione, branded content significa contenuto che trasmette i valori di un brand e innesca un’interazione con il pubblico.
Raccontando storie i brand vanno incontro alle persone, al loro target, semplicemente parlandogli. Il punto principale di tutta la faccenda è l’interazione: il branded content permette alle persone di reagire, commentare, rielaborare ciò che viene detto creando una relazione sempre più forte.
E’ diverso dal native advertising proprio per questo. Con ‘native advertising’ si indicano quei contenuti sponsorizzati nella forma nativa del canale scelto. Ad esempio, un articolo sui profumi della stagione scritto da Versace su Vogue. Queste operazioni non generano necessariamente interazione, non puntano a quello in primo luogo.
Quando si fa branded content non si vende, si racconta qualcosa di utile per le persone. Si cerca di esprimere un valore, in tutta sincerità, senza secondi fini.
Altri vantaggi del branded content sono la fidelizzazione nel tempo, l’engagement, la qualità del legame customer – brand e l’awareness che viene generata nei confronti di chi trova il contenuto senza cercare il brand nello specifico.
Modi per fare branded content marketing
La creatività è l’unico limite: si può fare branded content marketing in una miriade di modi diversi. Cortometraggi e lungometraggi, canzoni, mostre, arte, racconti brevi, ecc…
In tutto questo mare magno, però, come può fare un’azienda ad orientarsi? L’indicazione è capire ciò che ha senso per il tuo brand. Ogni decisione presa deve essere motivata: perché dovrei fare proprio una canzone e non scrivere una poesia? Come risuonerà questo contenuto con i miei valori? Se ha senso, funziona.
Ciò detto, ecco una lista degli ambiti principali del branded content tra cui destreggiarsi:
- Intrattenimento: leggero e divertente, è accessibile a un grande pubblico e genera positività nei confronti del marchio.
- Storytelling: la strada più percorsa. Viene usato per raccontare quel che fa il brand, il suo punto di vista sul mondo, ciò in cui crede.
- Forum: lanciare un tema, innescare discussioni. Il contenuto è minimo e l’interazione massima. Importante è gestire in maniera efficace tutta la fase di dibattito.
- Servizi utili: inventare un’applicazione, una funzione, qualcosa di utile per le persone, ma sempre coerente con l’immagine del marchio.
Alcune storie di successo
Ogni anno fioriscono esempi mirabili di branded content marketing. Eccone alcuni che hanno fatto la storia per un motivo o per l’altro.
Le soap opera: hanno fatto la storia perché sono state effettivamente le prime forme di contenuto brandizzato. Nate in radio, andavano in onda quando c’erano solo le donne in ascolto, ovvero di mattina. Le sponsorizzavano e le producevano le aziende di saponi e detersivi.
Dumb ways to die: una canzone che definire ‘divertente’ è riduttivo. Fatta per la metropolitana di Melbourne, vuole convincere le persone a non morire in modi stupidi (per esempio superando la linea gialla). Cartoon, humor nero e storytelling l’hanno resa subito virale.
Nike Training App: un esempio di ‘servizio utile’. Nike sviluppa questa app per allenarsi da casa. In linea con il brand, utile, funziona.
RedBull: l’azienda che per antonomasia fa branded content marketing. Sono innumerevoli i concorsi, le sfide, le competizioni sportive, i tornei di e-sport, i documentari che RedBull ogni singolo anno produce per comunicare sé e la sua bibita. Basta farsi un giro sul loro sito web per capire quanto per RedBull il branded content sia importante.
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